14 Dic

COINVOLGIMENTO EMOTIVO Il cibo dell’Inconscio

Abbiamo bisogno di provare coinvolgimento emotivo, di appassionarci, allo stesso modo in cui abbiamo bisogno di mangiare per sopravvivere.

Quando diciamo che ci sentiamo coinvolti o che qualcosa ci coinvolge, stiamo parlando, che lo vogliamo o no, di emozioni; anche quando cerchiamo di dare spiegazioni razionali al nostro coinvolgimento.
Voglio dire: può anche succedere che si diano delle spiegazioni ragionevoli a ciò che ci coinvolge, come per esempio: – questa automobile mi piace perché ha una bella linea e delle ottime prestazioni. –
Sì, questo può essere vero: ma non è questa l’essenza del coinvolgimento.
L’affermazione sopra riportata può essere una spiegazione ragionevole, mentre il coinvolgimento è un fatto puramente emotivo: se parlassimo con il linguaggio della nostra istanza emotiva, diremmo “quell’auto mi piace perché mi eccita spingerla al massimo sul rettilineo, mi sento la pelle d’oca nelle curve e provo una sensazione di potenza e superiorità quando mi siedo al volante di un’auto bellissima”.

Perché tutto ciò è importante? Perché la nostra istanza emotiva, come spiego dettagliatamente nel mio e-book Sulla ruota del criceto, si nutre di sensazioni, e non giudica se queste siano buone o cattive, giuste o ingiuste; una emozione “buona” o “giusta”, con i parametri della istanza emotiva è una emozione coinvolgente.
E non è coinvolgente “un’auto dalle belle linee e dalle ottime prestazioni”, è coinvolgente “un’auto che mi fa venire la pelle d’oca quando spingo sull’acceleratore e mi fa sentire un divo quando mi guardano mentre la guido”!

Ho insistito su questo distinguo perché volevo introdurre il concetto, importantissimo nell’analizzare le dinamiche patologiche o comunque disturbanti, che le emozioni sono per la nostra istanza emotiva l’equivalente del cibo per il nostro corpo: ne abbiamo bisogno, non possiamo rimanere a lungo senza, altrimenti ci ammaliamo!

Il problema è che la nostra istanza logica ha il compito di proteggerci, e di tenerci lontani da potenziali pericoli o rischi: tendenzialmente, in modo razionale, ricerchiamo la sicurezza economica, la stabilità sentimentale, un futuro prevedibile.
Sicurezze, certezze, stabilità, prevedibilità sono obiettivi certamente giusti da perseguire, ed è lodevole raggiungerli: non dobbiamo però idolatrarli, o credere che essi siano l’equivalente del benessere.
Se indugiamo troppo su questi valori, atrofizzando la nostra capacità di emozionarci, depriviamo la nostra istanza emotiva: gli togliamo il cibo, credendo di poterci adagiare su una vita comoda e tranquilla.

Questa affermazione spesso sorprende i partecipanti ai miei stage di formazione, in particolare quelli del Laboratorio Emozionale: e il bello che la maggior parte di loro è lì proprio per quello!
Ipocondriaci, ossessivi, ritirati sociali e molti altri soggetti con patologie meno gravi (troppo timidi, troppo impauriti, troppo spaventati dai cambiamenti, troppo privi di iniziativa, eccetera) hanno questo dato in comune: non sanno nutrire adeguatamente la loro componente emotiva, la quale, per sopravvivenza, escogita nuove modalità di… sostentamento.

Prendiamo un ipocondriaco, per esempio: per qualche motivo, diverso da persona a persona, il soggetto non riesce più ad emozionarsi abbastanza, e non dispone di oggetti adeguati che possano coinvolgerlo. Che fa, allora? Cerca il coinvolgimento emotivo nel proprio corpo, cioè in qualcosa c he crede di poter controllare; e quindi, credendo di ammalarsi, si coinvolge continuamente, e, purtroppo per chi gli sta vicino, coinvolge chiunque gli capiti a tiro nelle sue lamentazioni.
La sua preoccupazione e le sue lamentele sono diventate il cibo emotivo, per quanto povero, del suo Inconscio: una volta che un ipocondriaco si rende conto di questo funzionamento, drasticamente diminuisce le occasioni di preoccuparsi della propria salute. Certo, poi dovrà trovare il modo di fornire un cibo diverso, altrimenti la vecchia abitudine tornerà a farsi viva, se non altro per… “fame” dell’inconscio.

Nella stragrande maggioranza dei casi che mi capitano nel Laboratorio Emozionale noto una grande difficoltà nel permettersi di emozionarsi: al di là delle motivazioni, che sono diverse da persona a persona, i meccanismi di funzionamento di queste persone sono molto simili.
Il loro Inconscio è deprivato dalla paura del coinvolgimento emotivo, motivo per il quale evitano le situazioni emozionanti: ed ecco che trovano sempre occasioni di impaurirsi, e vivono continuamente tale paura. In soldoni: la paura diventa la componente emotiva prevalente, e quindi il “cibo favorito” del loro Inconscio.
È come se l’Inconscio dicesse: – visto che per paura mi privi di altri nutrimenti, io mi organizzo per farti provare più paura possibile, così mi nutro di quella. –

Sono consapevole che il concetto di coinvolgimento emotivo come cibo  per l’inconscio sia estraniante e che ci siano delle resistenze ad accettarlo.

È per questo che concludo con una considerazione che si rifà alla esperienza di chiunque: ci innamoriamo di qualcuno che ci dà certezze, sicurezze, prevedibilità, oppure di qualcuno che ci dà brividi, pelle d’oca, incertezza?
Prevengo anche la ragionevole obiezione: sì, va bene, l’innamoramento funziona così, ma poi, quando ci si fa una famiglia si tiene conto provo di quei valori di solidità, sicurezza, eccetera. Verissimo. Perché, allora, tante coppie si sfasciano perché “sopraggiunge la monotonia della vita di coppia”?
Troppo poco cibo all’istanza emotiva di coppia, ecco che succede: se finisce l’abbuffata iniziale, e questo si può capire,  si dovrebbe almeno organizzare qualche “festino” ogni tanto; non lasciamo languire il nostro inconscio, nutriamolo di coinvolgimento emotivo.