IL CONDIZIONAMENTO NEGATIVO DELL’ATLETA – il parere di Claudio Pistolesi
(estratto dell’intervista del 2018 “Tessere il percorso dell’atleta-persona”)
… ti chiedo di individuare dei fattori di ordine psicologico che inficiano direttamente la prestazione. Proprio mentre si sta gareggiando.
Ce ne sono di tutti i tipi, fammi pensare… Sicuramente, un fenomeno che ho riscontrato spesso, a tutti i livelli, è quello di preoccuparsi troppo del punteggio. Ci si accorge di questo quando vedi qualcuno che è avanti, che ne so, 5-1, 5-2 e poi si fa rimontare.
La maggior parte delle volte non è l’altro che rimonta, ma quello che è in vantaggio che rende possibile il recupero.
In che modo?
Comincia ad assumere l’atteggiamento di chi spera che l’altro lo faccia vincere. È un meccanismo tanto perverso quanto diffuso, e secondo me è figlio della eccessiva importanza che si dà al risultato: quando lo si sente vicino, ci si agita e non si fanno più le cose che si facevano prima, quelle che ci avevano portati in vantaggio. Si tratta di un’ ansia, un’ansia che assale nel momento in cui il traguardo si avvicina.
Una ansia che induce a “sperare” di vincere anziché provare a vincere.
Infatti! Lo vedi che basta solo pronunciarla, questa frase, per rendersi conto di quanto sia assurda! Non si può SPERARE di vincere, io lo toglierei proprio dal vocabolario di ogni agonista, questo verbo! È ovviamente un verbo figlio dell’ansia: ora, non dico che non si possa essere ansiosi, anzi, ma bisognerebbe mantenere quella minima lucidità per continuare a fare ciò che ti faceva vincere. Se “speri”, vuol dire che l’ansia ha preso il sopravvento sulla tua capacità di incidere, di perseguire l’obiettivo, e smetti di “ fare gioco “ e cominci a “ sperare”.
Ci troviamo dunque di fronte a situazioni in cui l’emotività anziché essere una risorsa diventa impedimento. Possiamo dire che travalica la tecnica e la tattica?
In alcuni casi può succedere. E molto spesso la cosa è ripetitiva, e si vede che l’atleta non “impara” dall’esperienza, ma, anzi, ogni volta sembra peggiorare.
E cosa fai in quei casi?
Mi rivolgo a chi ne sa più di me, e maneggia di professione questi argomenti, come Alberto (Castellani). Come ti dicevo, fa parte della mia professionalità accorgermi dei miei limiti, del fino a dove posso arrivare.
Vorrei proporti io altre due situazioni, di ordine psicologico, che possono disturbare la performance. Innanzitutto vorrei sapere se le incontri nella tua esperienza. La prima è il “seguire il flusso”: ti è capitato di avere allievi o seguire giocatori che non sono in grado di cambiare il flusso della gara? Quelli che, se le cose iniziano ad andare male si infossano sempre di più?
Hai voglia. Ce ne sono moltissimi. In tal caso non è più semplice ansia , ma una strana agitazione, che impedisce di essere lucidi e di tentare qualcosa che inverta la tendenza.
Esiste una somiglianza con la situazione precedente, dunque. Agitazione anziché paura, ma comunque una situazione di blocco, mancanza di lucidità e capacità di intervenire.
Ecco, e ci metterei anche un’altra somiglianza: anche in questo caso l‘atleta in cuor suo “spera” che le cose cambino. Questo vuol dire che perde fiducia nelle sue capacità, proprio come nella situazione di prima. In tale condizione è difficile operare delle scelte, avere coraggio. È anche una questione di umiltà, secondo me: ci sta che ti capiti una giornata storta, un avversario più forte, una situazione sfavorevole. Se sei umile, ti ci impegni e ci lavori, anziché agitarti. Credo che un giusto livello di umiltà sia necessario per avere consapevolezza nei propri mezzi, e quindi fiducia.
Sembra che la fiducia nelle proprie possibilità e la capacità di operare scelte impegnative siano dei cardini della tua esperienza, dalla passione con cui ne parli.
Non mi ero mai trovato a rifletterci, ma effettivamente è così. Se ripenso a quello che ho fatto, in tanti ambiti, posso dire di avere seguito delle intuizioni e avere operato delle scelte rischiose, all’epoca in cui le facevo. Mi riferisco a scegliere di diventare coach quando avrei potuto ancora dedicarmi all’agonismo; a perseguire metodi di preparazione che andavano in controtendenza con i dettami “tradizionali”; Infine, ho trovato produttiva anche la scelta di trasferirmi negli Stati Uniti d’America, paese che ha molti difetti, ma che propone una cultura sportiva d’eccellenza! Lì si può diventare atleti professionisti e nel contempo proseguire gli studi, cosa che propongo sempre a chi si iscrive alla mia accademia.