23 Nov

Intervista a Sara D’Ambrogio, campionessa italiana di Paddle

Nonostante il luogo, che richiama alla mente il tennis, mi trovo oggi a seguire un altro sport, giocato peraltro ad altissimo livello, il Paddle, ed ho la possibilità di intervistare una campionessa di entrambi gli sport citati: Sara D’Ambrogio ha recentemente riportato la vittoria nei campionati italiani di paddle (sport che si gioca solo in coppia), e oggi trionfa anche qui al Monviso, pur giocando con una partner differente.
E tutto ciò dopo essere stata una eccellente tennista, molto promettente quando aveva 12-13 anni.

Sara, prima del paddle hai vissuto una vita da tennista. Ci racconti i tuoi esordi con il tennis?
Ho cominciato a giocare all’età di 5 anni. Sono cresciuta in compagnia di un amico “vincente”; il muro, contro il quale passavo le mie giornate… anche se vinceva sempre lui! Sul campo, ho iniziato a giocare con papà: è stato lui ad avviarmi al tennis ed a trasmettermi la passione per questo sport.

Viene in mente una delle prime scene di Borg-McEnroe, il film: quando il giovane Bjorn viene filmato mentre gioca contro il muro e i familiari gli chiedono se stia giocando la finale di Wimbledon.
Vuoi dire che un poco ci somiglio? Forse abbiamo in comune la cocciutaggine, la “testa dura”… Comunque è pur vero che il mio sogno era lo stesso: diventare una professionista. La mia maggiore aspirazione era quella e ho sperato con tutto il cuore di poterci arrivare. Mi allenavo ogni giorno, non esistevano amici, distrazioni o altro, esisteva solo il tennis per me.

In questo, forse, Borg un pochino lo ricordi.
Sai che da bambina ero biondina anch’io? Crescendo… poco, sono rimasta piccolina (ride) sono diventata
bruna… in ogni caso sono sempre stata tutt’altro tutt’altro che glaciale!

Nemmeno Borg lo era, per la cronaca, lo si evince dal film. Comunque, sei più fuoco che ghiaccio…
Mi identifico nei caratteri grintosi; sbagliare poco per me non è una questione di essere resistente e passiva, ma di una concentrazione “calda”, continuamente alimentata dal fervore agonistico.

Chi sono stati i tennisti che ti sono stati di ispirazione, considerando che Borg appartiene a una generazione antecedente alla tua?
Nel mondo femminile da piccola mi ispiravo a Monica Seles, amavo la sua grinta e tenacia. Anche se il mio vero e unico amore è stato André Agassi. Quando giocavo mi ispiravo a lui. Lo imitavo anche nel modo di vestire, oltre che nel modo di giocare d’anticipo.

Ti identificavi anche caratterialmente in lui?
Certo! Per quel che se ne sa di lui, ovviamente… Lo adoravo perché amavo la sua grinta, la sua naturalezza nel giocare e mi rivedevo tantissimo in lui. Ne ero innamorata persa, e ti dirò che quando l’ho visto con i capelli rasati ci sono rimasta talmente male che mi venne quasi da piangere(ride)!

La criniera leonina rimanda a vissuti relativi all’aggressività e alla trasgressività, almeno nei maschi, e tu sei rimasta delusa nel vedere i suoi capelli rasati. Forse ti identifichi come aggressiva o trasgressiva?
A me ha deluso perché così pelato era più brutto! A parte questo, non saprei. Non mi definirei proprio trasgressiva, anche se non mi sento una classica conformista… mi riconosco di più nell’aggressività, se la intendiamo come fervore, ardore… non riesco ad immaginare di fare qualcosa senza metterci una bella carica! Se intendiamo questo per essere aggressiva, allora sì.

Ed eri così fin da piccola?
Altroché! Anche se vinceva sempre lui, credo che il muro, un po’ di paura di me ce l’avesse… (ride)

Quali sono stati i punti di snodo salienti della tua carriera tennistica?
Il primo è stato anche il momento che mi ha fatto sognare di più: a 12 anni, diventando campionessa italiana in singolo e in doppio, in coppia con Roberta Vinci! Dopo di ciò, ci fu un periodo di buio.

Cioè?
Scusa, di questo argomento preferisco non parlare.

Come vuoi. Dicevi delle tappe della tua carriera.
Dopo essere stata presa in un’Accademia famosa, per me sono nati dei problemi. Problemi che mi hanno costretta a fermarmi. Ahimè, sono stata costretta ad abbandonare il mio sogno. Ma diciamo che era destino, no?

Credi davvero nel destino?
Penso sia meglio accettare che quel che è stato non si cambia; nel destino in senso stretto, non lo so… sarebbe un discorso molto lungo. Restando alla mia carriera tennistica, diciamo che parlo di destino quando mi guardo indietro, perché non ho voglia di rimuginare su quello che poteva essere e non è stato.

Quindi non ti sei rassegnata a quel periodo di buio cui hai accennato?
Considerando che ho ripreso a 18 anni dopo 6 anni di stop forzato, direi di no. Ho vinto tutti i tornei provinciali e regionali che c’erano, il tutto dopo un solo mese di allenamento, ma ormai sapevo che era troppo tardi per riprendere un nuovo sogno, quindi mi sono accontentata, diciamo così.

Accontentata di cosa?
Della mia nuova dimensione agonistica, a livello nazionale, e del mio futuro, oggi diventato presente, di istruttrice. Il sogno se n’era andato, ma la passione era rimasta.

Ti faccio una domanda che chi fa il mio mestiere non può fare a meno di farti. Quando eri tennista di alto livello, cosa consideravi ti rendesse forte a livello mentale, e che cosa, eventualmente, debole?
Quando ero tennista la cosa che mi rendeva forte a livello mentale era la consapevolezza di me stessa. Ero una ragazzina timida, ma in campo ero talmente sicura delle mie potenzialità che non avevo mai paura, e perdevo raramente. Quindi avevo acquisito fiducia in me stessa, e quando scendevo in campo mi sentivo carica e determinata.

Scusa, hai usato tre parole chiave: consapevolezza, carica e determinazione. Quindi, stiamo ritornando alla tua necessità di sentirti “infuocata” dall’ardore agonistico, mentre giochi.
Sì, ma è collegata alla consapevolezza delle mie capacità. Se sento di essere forte, mi appassiono a quello che faccio e non sento la paura. Devo prima acquisire quella fiducia, però.

E oggi (che sei campionessa di Paddle), ci sono delle differenze?
Ad oggi ci sono delle differenze, sì. Sto affrontando uno sport nuovo, non è il tennis, di cui conoscevo tutti gli aspetti. Qui mi sono rimessa in gioco, ho dovuto riprendere fiducia in me stessa, praticamente ricominciare da zero! Non sentivo più quella consapevolezza di poter uscire dal campo sempre vincente.

Quindi hai bisogno di sentire in te una certa sicurezza: cosa fai, o hai fatto, per acquisirla?
Sì, ne ho bisogno, e all’inizio non sentivo quella stessa consapevolezza di ciò che ero in passato come tennista. Proprio per questo devo confessarti che adesso mi sto facendo dare una mano da un mio amico, Franco Trentalance (parecchi lo conoscono come pornoattore, ma in pochi sanno che ha intrapreso una nuova strada, quella del mental coach), per sconfiggere alcuni fantasmi, facendo riemergere la mia “testa dura”, la mia determinazione.

Scusa se ti sembro invasivo, ma la domanda sorge spontanea: quali fantasmi?
Devi sapere che puntualmente prima di un torneo io mi infortuno. Tutti starebbero male al sol pensiero eh?(sorride) Per me invece è tutto “nella norma”. Ecco, questo “fantasma” io l’ho trasformato, facendolo diventare una molla motivazionale.

Cioè?
In pratica, quando sto male vinco. Il mio corpo reagisce così alla negatività. Sembra strano, eh? Ma io mi preoccupo più quando sto bene (ride). Franco dice che mi comporto come i supereroi, cioè acquisisco poteri quando mi accade qualcosa di negativo. E quel negativo diventa un qualcosa di positivo. Un po’ come Superman, che viene sì colpito dalla criptonite (evento negativo), però poi diventa un supereroe e acquisisce poteri. Sono contorta, lo so (sorride).

Non così contorta come pensi. Ora non abbiamo tempo, ma sul mio blog, a seguito di questa intervista spiegherò come quello che tu dici si sviluppa in delle precise dinamiche psichiche. Mi farà piacere se lo leggerai e mi darai le tue opinioni al riguardo.
Adesso però sono curiosa!

Anch’io. Per esempio mi incuriosisce questo: se ti sentivi cosi sicura dei tuoi mezzi come mai ti sei accontentata, come dici tu, a 18 anni? Non erano così tanti per non avere aspirazioni.
Eh, questa non era una questione di sicurezza di mezzi tecnici, ma… economici. Mi sono accontentata perché, come ben sai, nel tennis ci vogliono i cash. Se non ci sono i quattrini per tentare di fare risultati nei tornei satellite, si rimane nel proprio paesello!

Ahi, tasto sempre dolente… torniamo allora alle questioni relative al mio lavoro. Abbiamo appurato che nella tua prestazione agonistica l’ardore, il fervore o, per dirla in parole più semplici, il sentirsi carichi, ha una importanza fondamentale. Puoi descrivere cosa significa per te questo fattore, e perché è così importante?
Sì, per me è decisamente rilevante nella mia prestazione. Sentirsi carichi per me significa percepire la consapevolezza delle mie potenzialità, per poi riuscire ad esprimerle al meglio in campo. Insomma, se riesco a credere davvero in me stessa, percepisco grinta e determinazione. Ho vinto grazie a questi due fattori.

Come contenuto psicologico tratterò questo aspetto sotto una angolazione che spero ti interesserà. Ma proseguiamo con una domanda apparentemente banale: normalmente, dormivi bene prima di una gara importante?
Prima di una gara importante non dormo tantissimo, e non c’è differenza tra le gare di tennis in passato o le attuali gare di paddle. Immagino spesso le scene di ciò che avverrà, e, ahimè, sono molto sensitiva e spesso “so“ già cosa accadrà. Vivo molto di sensazioni (sorride). Alle volte, però, quando ho delle sensazioni negative, provo a distogliere il pensiero, e a trasformarle, facendole diventare positive, e … molto spesso mi riesce! Per dire, questo torneo lo sentivo che era mio, sentivo che sarebbe andata bene comunque, anche con un’altra compagna (di solito gioca con Giulia Sassarelli, in questo torneo era schierata al fianco di Cristina Dolce, ndr). Queste sensazioni, però, non so spiegarle! (ride).

Bene. Ora, se dovessi quantificare in una scala tra 0 e 100 la disponibilità di “grinta” (il sentirsi carichi di cui parlavamo prima), quale sarebbe stata (o è, per il Paddle) la percentuale che riterresti ideale per te?
100? (sorride).

Mi hai dato due conferme sull’idea che mi sto facendo… ma dovrai aspettare l’apertura del mio blog per conoscerla. Continuando: temevi (nel tennis) o temi adesso (nel paddle) di più sentirti troppo carica o troppo rilassata? Prima di una gara, si intende.
Mi fa più paura essere troppo tesa. Proprio per questo ho un atteggiamento molto rilassato prima di entrare, nonostante senta una forte una carica interna.

Quindi adotti un atteggiamento che ti consenta di tenere a bada la tensione?
Sì, mi sono abituata a comportarmi in modo… apparentemente strafottente, diciamo, prima di una gara. Non faccio mai come quasi tutte le giocatrici, che si mettono a fare stretching, adottano un piano ore e ore prima, eccetera… quindi può sembrare che non mi interessi nulla della gara, ma non è affatto così! Spesso sembro molto rilassata e menefreghista nell’atteggiamento, ma dentro me la carica e la voglia di vincere trionfano.

Ora è molto chiaro. Invece, in che misura l’ambiente che ti sostiene (coach, amici, pubblico… quello che tu ritieni utile per te) è determinante per mantenerti determinata verso l’obiettivo?
Allora, devo ammettere che sin da piccola ho sempre voluto il pubblico che mi guardasse e mi sostenesse. Mi sento più forte se ho qualcuno che mi guarda. Spesso, quando giocavo a tennis e non c’era pubblico, quasi mi annoiavo perché mi mancava il mordente. Il pubblico mi carica, mi aiuta. A volte uno sguardo, anche quello di uno sconosciuto, oppure un sorriso, un “forza!”, sono le cose che più preferisco. Amo quando i miei amici vengono a vedermi, esprimo molto di più ciò che sono quando gioco in loro presenza, perché oltre a vincere per me, voglio vincere per loro e per chi in quel momento mi sostiene.

Quali sono, se ci sono, le azioni che compi per entrare in campo nella condizione mentale che piace a te? E quali, se ci sono, per affrontare gli infortuni che consideri nella norma?
A parte che sono così tanto scaramantica che posso far impallidire Nadal, utilizzo anche dei mantra, come ho fatto, per esempio, durante i campionati italiani. Allora ho utilizzato una frase che mi ha aiutata molto, ma che non rivelo, perché… è un mio “segreto”. E per questo devo ringraziare una persona speciale che mi ha dato questa forza e questo sostegno per credere in me. Per quanto riguarda gli infortuni, uso delle creme e cremine varie, ma so bene che lo faccio per finta: in realtà dipende tutto dalla mia testa.

Ok, ancora un paio di domande: durante la gara, come affronti i tuoi errori inaspettati o gratuiti, errori arbitrali, scorrettezze di avversari o pubblico?
Come affronto i miei errori? Spesso rido e mi prendo in giro da sola quando faccio degli errori eclatanti. Quando ci sono errori arbitrali, invece, divento una iena. Quando ci sono scorrettezze da parte degli avversari peggio ancora, non ne parliamo. Una volta, durante una finale, l’avversaria, invece di passarmi gentilmente le palline per battere me le tirava in ogni parte del campo di proposito, tentando di farmi innervosire. Tutto ciò di fronte ad un folto pubblico. Cosa ho fatto? Una volta che toccava a lei battere e mi chiese una pallina, non le risposi per circa 20 secondi, rimanendo ferma ad aspettare, in risposta. Lei cominciò ad alterarsi perché voleva una palla, allora le dissi di fare il giro del campo, così da raccogliersela da sola, visto che le palline a causa sua erano sparse ovunque. E così è andata a prendersele nel mio campo. Immagina in che stato mentale. Non amo le scorrettezze, quindi quando qualcosa non va, in campo lo faccio notare, volere o potere.

In questo caso si è notato senz’altro! Vorrei concludere tentando di indovinare una cosa, mi dirai tu quanto ci sono andato vicino.
Va bene, almeno in questo caso non mi lasci nella curiosità, visto che la risposta la do io… (ride)

Proprio così. La mia affermazione è che: secondo me sei un’ atleta “facile e difficile” da allenare.
Facile perché se si guadagna la tua fiducia ti si fa sgobbare come un mulo senza problemi. Difficile perché prima di guadagnare la tua fiducia chiedi, contesti, replichi… e poi una volta che ti fidi però vai. Quanto ci ho preso?
Diciamo che mi fido poco della gente dopo il passato avuto, quindi prima di dare tutta me stessa, devi conquistarmi, e anche abbastanza in fretta. Come ti dicevo prima, mi fido molto delle mie sensazioni, quindi avverto subito di chi mi posso fidare e di chi no. Per quanto riguarda l’allenamento, potrei lavorare bene solo su chi mi ispira fiducia, e solo se sento che mi può trasmettere qualcosa di positivo.

Quindi addirittura estremizzi ciò che pensavo… Bene, abbiamo concluso, ti ringrazio per la disponibilità e la pazienza.
Figurati, mi ha fatto piacere. Non vedo l’ora di togliermi quelle curiosità, però (ride).