I CAPISALDI DELLA PRESTAZIONE MENTALE NELLO SPORT
È una mia prassi ormai consolidata, quando prendo in carico un atleta, sottoporlo a una serie di test per valutarne lo stato di efficienza mentale riguardante la gara.
Da questi test traggo un Profilo, che ho goliardicamente battezzato PPP (profilo psichico della prestazione) nei quali ci sono alcuni parametri che rendono subito chiaro all’atleta quali sono i suoi punti di forza e quali le aree di miglioramento.
Per orientarci meglio in questa descrizione, consiglio di tenere sottomano l’articolo nel quale intervisto la campionessa di paddle Sara D’Ambrogio, la quale si è gentilmente prestata a fare da riferimento pratico.
Uno degli aspetti che valuto è la Motivazione dell’atleta (o di qualunque altra figura collegata con una prestazione di eccellenza: vedi sul mio sito il settore Psicologia dello Sport), che considero un argomento molto controverso: per molti è qualcosa che va “allenato”, mentre dal mio punto di vista è qualcosa che va studiato, per capirne la “provenienza”. Cioè, che cosa davvero motiva l’atleta, e quel qualcosa è funzionale alla sua prestazione, lo fa rendere meglio? Se la risposta è un sì, non c’è bisogno di fare nulla; se è un no, si opera per modificare la motivazione dell’atleta, vale a dire le componenti che la costituiscono; il concetto di “allenare” la motivazione, invece, secondo me è un controsenso.
Quali sono dunque queste componenti, e ce ne sono di buone e di cattive? No, bisogna semplicemente valutare in che misura una valutazione è estrinseca e quanto invece è intrinseca. Per estrinseca si intende che chi compie la prestazione è maggiormente motivato da fattori esterni (premi, riconoscimenti, eccetera), per intrinseca invece si intende il trovare la motivazione dentro di sé, per propria soddisfazione personale. Un mix ottimale di queste due componenti viaggia intorno al 70% Intrinseco contro un 30% Estrinseco.
Ora, se rileggiamo l’intervista a Sara, possiamo notare che nulla di esterno la spinse a riprendere l’attività dopo l’infrangersi del suo sogno, mentre fa sempre riferimento a sensazioni interne quando descrive emozioni motivanti: non possiamo avere dubbi che la sua Motivazione Intrinseca sia superiore al 50%, soglia di “allarme”.
Un altro aspetto dell’efficienza mentale nella prestazione è l’Equilibrio Emotivo, cioè la capacità di gestire ansie, agitazioni e sentimenti sgradevoli durante la gara. Questo settore è maggiormente intuitivo e richiede minori spiegazioni. Possiamo tornare all’intervista di Sara e noterete quanto per lei sia importante “sentire fiducia” ed essere – … carica e determinata… prima devo sentire quella fiducia, però -. Poi parla di molti tipi di rituali con i quali trova concentrazione. Tutto questo rientra nell’ambito dell’Equilibrio Emotivo, e qui a Sara chiederei un approfondimento, se fossi io a seguirla: quanto dipende da fattori esterni, il suo trovare fiducia? In questo caso non possiamo avvalerci di percentuali, possiamo solo dire che maggiore è la capacità dell’atleta di sentirsi forte PRIMA di avere dei risultati, tanto più questi risultati tendono ad arrivare. Mi spiego meglio: molti atleti pensano che si debba “acquisire fiducia” attraverso i risultati positivi: come se un giocatore di calcio che gioca in attacco, per esempio, dicesse – Quando comincerò a segnare i primi gol, allora avrò fiducia (di essere forte) – Questo è uno dei paradossi più insidiosi nelle prestazioni sportive: se hai fiducia PRIMA dei risultati, il tuo comportamento sarà ottimale e i risultati arriveranno, mentre se hai BISOGNO che i risultati arrivino per avere fiducia… il tuo agire sarà molto meno produttivo e rischi di perderla del tutto, la fiducia. Questo argomento (quello di non confondere il desiderio con il bisogno) lo tratterò dettagliatamente più avanti, però potete trovare delle analogie interessati nel mio articolo Quando è Troppo non ce ne Accorgiamo. Di sicuro, è uno dei temi più trattati nel mio stage Il Meglio del Peggio di Te.
Comunque, per quello che è deducibile dall’intervista a Sara, ella è sufficientemente capace di procurarsi gli strumenti per un buon equilibrio, e non abbiamo elementi per valutare se e quanto esso salti o possa saltare.
Diverso è il discorso riguardante l’Energia: che va valutata sia come carburante (sia fisico che psichico) della prestazione, che come “motorino di avviamento” (attivazione: ne parlo dettagliatamente nell’articolo Quando è Troppo non ce ne Accorgiamo). Su questo aspetto, notiamo che Sara è sempre bisognosa di essere iper-carica, e ciò presuppone un grosso dispendio di energie (forse è per quello che ama così tanto il cibo, come si premura di far sapere a chiunque la conosca!), ed inoltre fa fatica a rendersi conto di “quando accendere e quando spegnere l’interruttore”, il che presuppone il rischio di disperdere altra energia inutilmente. Il fatto è che lei ne è proprio convinta, infatti, alla domanda <su una scala da 0 a 100 quanto vorresti essere carica> risponde con i punteggio massimo, cioè 100.
Questa è una convinzione errata molto diffusa: l’energia, intesa come “carica”, genera tensione, che in una certa misura è utile, oltre no. Non abbiamo a disposizione mezzi per misurazioni oggettive, e inoltre tutto ciò è sempre molto soggettivo, però in linea di massima possiamo dire che la “carica” ottimale si ha tra un livello medio e un livello massimo (anche qui potremmo ipotizzare un 70%). Gli atleti normalmente, si rendono conto che una energia più bassa è deleteria, ma NON si accorgono che è altrettanto deleteria una carica eccessiva, che rischia di far andare “fuori giri”. Allo stesso modo, è possibile constatare che pochi atleti conoscono l’importanza di “spegnersi” quando non serve più essere attivati, o di attivarsi solo quando è necessario.
Questo è l’aspetto che indagherei di più, se seguissi Sara: infatti, a me non sorprende per nulla la sua tendenza ad infortunarsi, perché gli infortuni sono spesso frutto di eccessiva tensione. Per sua fortuna e bravura, Sara ha adottato un metodo per gestirli, e questo ci porta al settore in cui ella sembra essere più efficace, l’Adattamento.
Questo è l’aspetto più intuitivo da comprendere, e uno dei più importanti da valutare. In questo settore conta molto anche la creatività del soggetto, ed è una summa dei criteri valutati sopra: ti adatti bene se hai un buon equilibrio emotivo, se gestisci bene la tua energia e soprattutto se sei ben motivato a farlo!
In ultima analisi, però, anche se non si è al massimo in tutti gli ambiti sopra citati (ed è impossibile per chiunque esserlo sempre), una buona dose di fantasia aiuta sempre!
Bene, spero che il PPP abbia perlomeno incuriosito! Io lo trovo un aiuto fondamentale nel lavoro con un atleta.