29 Mar

L’INFLUENZA DEL TRIBUNALE FAI-DA-TE NELLE PRESTAZIONI

i giudizi automatici sulle performance che impattano sulle nostre prestazioni

Forse proprio l’efficacia delle proprie performance è l’ambito nel quale maggiormente si può “toccare con mano” l’influenza del Tribunale-fai-da-te.
Senza scomodare George Kelly, padre della teoria del costruttivismo, oggi è diventato abbastanza intuitivo il fatto che i risultati che otteniamo da qualunque attività dipendono moltissimo dall’ “idea che ci siamo fatti” delle nostre possibilità. Se pensiamo di essere capaci, che ne so, di realizzare, correndo i 100 metri, un tempo compreso in un certo range di tempo, difficilmente realizzeremo un tempo diverso: può succedere, ma il primo vincolo sta proprio nell’idea che ci siamo fatti sulle nostre capacità. Magari si capisce meglio con quest’altro esempio: se dobbiamo parlare in pubblico e temiamo di fare brutta figura, perché ci pensiamo timidi ed impacciati, molto difficilmente una volta sul palcoscenico sfodereremo disinvoltura: con ogni probabilità realizzeremo quella che era la nostra auto-previsione, diventando rossi in volto e balbettando.
Anche in questo caso possono venire in mente teorie già note, come quella delle profezie auto-avveranti; quello che vorrei evidenziare, però, è qualcosa che va più in profondità!

Il Tribunale-fai-da-te è una struttura interna che predispone a delle idee preconfezionate di noi stessi: talmente radicate, quasi “sacre”, che difficilmente possiamo metterle in discussione.
Ne ho sentite, durante le sedute di psicoterapia, di tutti i colori, come questa:
– Non posso conquistare quell’uomo perché sono troppo grassa. –
Può anche darsi che l’uomo in questione non amasse le donne in carne (ma senza chiederglielo sarebbe difficile saperlo…), e in ogni caso, non esiste persona che non abbia almeno una volta nella vita fatto una scelta che contraddicesse i propri gusti “generali”, specialmente nella scelta dei partner.
Eppure, nel caso che ho trattato, la signora riteneva assolutamente impossibile che quel suo dogma potesse essere messo in discussione: andando più in profondità, si scoprì che la sentenza iniziale (non posso avere “lui”) era una conseguenza di un’altra che stava a monte. E tale sentenza era:
– Le persone grasse non possono avere attività sessuale! –
Cioè, la signora era convinta che, essendo grassa, non poteva permettersi nessuna relazione sessuale, e quindi nemmeno con l’uomo desiderato: quindi, con quale arma di seduzione avrebbe mai potuto conquistarlo?
Sembra un delirio, vero?
Eppure ogni di noi è ricolmo di tali deliri, che sono tali nella misura in cui travalicano i dati di realtà, esaltando l’unica, vera, inconfutabile “verità”, che esiste solo nella nostra testa: i nostri dogmi, cioè le nostre sentenze!
Questo è il potere del Tribunale fai-da-te: qualche movimento emotivo, dentro di noi, porta con sé dei capi di accusa che portano al giudizio definitivo, il quale poi influenza pesantemente l’idea di noi stessi.
Dentro l’istanza emotiva della signora in questione si agitava un giudice severo e parruccone che le intimava:
– Tu NON puoi, laida grassona! –
Se alla base della valutazione delle proprie abilità seduttive c’è questa sentenza… hai voglia ad apprendere tecniche! Sicuramente una donna così produrrà delle catastrofiche profezie auto-avveranti, con continue conferme all’idea che ha di sé.
E questo è un esempio nel quale esisteva un certo grado di consapevolezza: ma ce ne sono anche nei quali la “sentenza” agisce più in profondità, e noi non sappiamo cosa ci sta succedendo.

Nello sport si riscontrano facilmente questi accadimenti: mi viene in mente un atleta che, puntualmente, di fronte alla ripresa della stagione agonistica, si infortunava nei modi più disparati.
Ora, se affrontiamo il caso con l’approccio cognitivista, ci fermeremmo al fatto che questo giovane non pensava affatto di NON poter raggiungere dei risultati: si auto-valutava, anzi, come moto dotato e competitivo. Quindi, il discorso iniziale, quello dell’“idea che ci siamo fatti” delle nostre possibilità, non avrebbe senso. La valutazione di se stesso era sepolta più in profondità, e nascondeva una sentenza molto disturbante:
– Tu NON devi competere! –
Sapere adesso il perché il suo Tribunale fai-da-te abbia emesso tale sentenza è irrilevante: la cosa importante è che ci sono stati dei coinvolgimenti emotivi interni (e inconsapevoli) a crearla, e che a nulla servirebbe (e in effetti non è servito) fare tutti gli accertamenti fisici possibili per riportare l’atleta in salute. Se la sentenza è quella, ed era quella, si sarebbe comunque organizzato per infortunarsi di nuovo!

È per questo tipo di limitazioni alle proprie performance, quelle che apparentemente “non hanno spiegazioni”, che è opportuno esplorare i meccanismi del Tribunale-fai-da-te.
Tutti i risultati delle prestazioni dipendono certamente dalla valutazione che ognuno dà di sé, ma dobbiamo tenere conto che essa dipende dall’impostazione emotiva che sta a monte: se il giudice interno è inflessibile, il comportamento, per quanto razionalmente ci si sforzi, non può cambiare.
Sarà anche questo uno degli argomenti della prossima diretta, che è stata spostata a martedì 3 Aprile (se vuoi, puoi iscriverti qui alla Psicoteca).
A presto!