26 Apr

MALANNI A OROLOGERIA: SIAMO VITTIME O ARTEFICI?

Il vittimismo si può esprimere anche attraverso una sintomatologia psicofisica. Se la priorità dei nostri bisogni inconsci è quella di mantenerci in una posizione di vittima, in estrema ratio, sarà il corpo a cercare di mantenere lo status quo.

Ho già avuto modo il mese scorso di parlare di sintomatologia psicofisica, in relazione al Tribunale fai-da-te.
Questo mese mi occupo di vittimismo come forma di adattamento all’ambiente emotivo nel quale ci troviamo ad agire: il meccanismo è simile, ma non identico.
La similitudine sta nel fatto che il mese scorso mi rivolgevo a quei malanni che obbedivano a una “sentenza” interna che è tanto inconsapevole quanto inflessibile: se per esempio la sentenza fosse qualcosa di simile a : – Tu non puoi eccellere! – , allora, se non ci siamo già “organizzati” per evitare il risultato di eccellenza e proprio non ce la faremmo a fallire, ecco che il nostro corpo si fa carico di “rimediare”.
Questo mese metto l’accento su un procedimento lievemente più sottile: mettiamo che i nostri bisogni inconsci ci impongano di rimanere in una posizione di vittima. È, lo ribadisco, una questione inconscia, e il nostro Inconscio (Istanza Emotiva) segue delle regole e delle priorità che la nostra Istanza Razionale non conosce e soprattutto… non riconosce!
Allora, anche se inconsciamente abbiamo la necessità di restare in una posizione di vittima, razionalmente potremmo invece perseguire dei percorsi di miglioramento, e magari siamo anche così bravi da avvicinarci molto all’obbiettivo. Ecco che in tal caso il nostro corpo, se l’Inconscio gli ribadisce “attenzione che è meglio per te rimanere vittima”, si deve incaricare di dare segnali, veri o percepiti, di un qualche malessere che blocchi l’azione.
Un esempio clinico forse chiarisce meglio la maggiore raffinatezza della sintomatologia psicosomatica da vittimismo: una ragazza che seguo ha la priorità inconscia di accusare continuamente i suoi genitori attraverso la sua sintomatologia, soprattutto comportamentale. Tale accusa è sotto traccia, e si esprime proprio attraverso il sottotitolo che si potrebbe mettere alla sua attitudine: – Guardate come sono ridotta, è tutta colpa vostra! –
Fin qui la questione sembra quasi lineare: c’è però una conseguenza, una specie di secondo sottotitolo: – Siccome è tutta colpa vostra, ho diritto a dare in escandescenze e avere ciò che voglio e pagate voi! –
Per garantirsi questo vantaggio secondario, la ragazza doveva mantenersi in una condizione di prostrazione che la facesse sentire arrabbiata con i suoi genitori: la terapia metteva in pericolo questo equilibrio (come effettivamente è stato). Il suo sintomo fondamentale era una sorta di ritiro dal mondo che la manteneva chiusa nella sua stanza, con varie manifestazioni psicopatologiche. Una volta che il percorso terapeutico la ha fatta migliorare e addirittura ha ripreso con profitto la scuola, ecco che il “progetto inconscio” veniva messo in pericolo, per cui ha cominciato ad avere una salute… molto cagionevole, diciamo, in modo che la frequenza scolastica fosse diradata.

Evidentemente, non poteva ancora permettersi di essere una “ragazza normale” e per di più “dotata”, senza dover rinunciare improvvisamente alla rabbia nei confronti dei suoi genitori, che non avrebbero più avuto la totale responsabilità del suo destino.
Ecco un concetto fondamentale su tutte le manifestazioni di vittimismo: la responsabilità, cioè la possibilità di liberarsene, di attribuirla a qualcuno o a qualcosa d‘altro.

Un altro esempio può rendere ancora più semplice il meccanismo: una signora seguita da me mi annuncia che vuole “evadere” dal suo corpo troppo appesantito dall’obesità e che comincerà a fare attività fisica, incominciando con delle lunghe passeggiate. Peccato che lo faccia con le scarpe da ginnastica… senza indossare i calzini, per cui dopo un paio di camminate i suoi piedi si riempirono di vesciche doloranti, che le impediranno di mettere in atto il buon proposito per un po’.
Questo esempio, assolutamente riconducibile alla categoria degli atti mancati, rende più semplice la comprensione della sintomatologia psicosomatica applicata al vittimismo: la signora in questione aveva ampi motivi inconsci per rimanere grassa, primo fra tutti quella di attribuire al suo stato ponderale il fallimento delle sue aspirazioni… sentimentali. Se fosse dimagrita, avrebbe dovuto assumersene la responsabilità.

Insomma, questo aspetto del vittimismo (la sintomatologia psicosomatica) esaspera uno dei contenuti che tratterò nella mia diretta del 30 aprile, secondo appuntamento della Psicoteca intitolato Me meschino, me tapino: il vantaggio più evidente del ricorrere al vittimismo è l’accantonamento della propria responsabilità. Una tentazione (inconscia, ma non solo) veramente ghiotta, e per la quale è difficile fare nette distinzioni: nel senso che, di fronte a una prospettiva così allentante le nostre capacità di giudizio vengono un pochino alterate.
Perciò questo mese ho trattato alternativamente il vittimismo, guardandolo sugli altri prima e su noi stessi poi: possiamo quindi riconoscere gli stessi meccanismi?
È dura comunque, ma senza dare un’occhiata prima agli altri, la risposta automatica che ognuno di noi darebbe è: – Vittimista io? Figuriamoci! Se mi lamento è perché ho i miei buoni motivi! –

Va bene, diamo per scontato che i buoni motivi ci siano: ora che la metto giù in questo modo, vi pare che qualche malanno, incidente, malattia, malessere che avete avuto voi, che fanno parte della vostra storia, possano in qualche modo riguardare quanto esposto sopra?

Se sì, avrete maggiormente delle motivazioni per partecipare alla diretta Facebook di lunedì 30 Aprile alle ore 21.
E se vuoi partecipare non devi fare altro che cliccare qui.

A presto!