10 Giu

SENTIRSI NORMALI OPPURE IN COLPA?

Il concetto di Normalità per sentirsi “assolti”.

Quante volte abbiamo invocato il concetto di Normalità per difenderci da sensazioni spiacevoli?

<Non è normale che reagisca così.>

<Ma ti pare normale fare in quel modo?>

<Certi comportamenti non sono mica normali.>

Di questi tempi, poi, abbiamo riscoperto tutti insieme i parametri di una presunta normalità del vivere sociale (a causa della pandemia da Covid-19) e abbiamo preso atto che essi si possono, a volte si devono modificare.

La Normalità resta comunque un concetto rassicurante, che addirittura era il baluardo dietro il quale ci si difendeva dal richiedere aiuto:

<Non ho bisogno dello psicologo, io; io sono normale!>

L’importanza profonda che sottosta a questo desiderio di Normalità, che riscontro in pressoché tutti i miei pazienti, è dovuta alla necessità di sentirsi “a posto” rispetto al mondo:

<io vado bene, io sono rispettabile, io ho dignità e diritti, io ho la coscienza a posto.>

Ho messo in corsivo l’ultimo esempio, perché in esso spesso si nascondono i dubbi profondi (quasi sempre inconsci o poco consapevoli) di pressoché tutti noi, specialmente quando le cose NON vanno come noi speravamo che andassero.

<Sarò mica io che non vado bene?> è la vocina che subdolamente si insinua tra i nostri pensieri.

Ed essa è, solitamente una voce proveniente dalla nostra Istanza Emotiva, anche perché con quella Razionale noi possiamo trovare un sacco di evidenze che non abbiamo nulla da rimproverarci, eppure..

<Eppure non riesco a prendere sonno>

<Eppure mi vengono pensieri strani>

<Eppure mi viene un nodo allo stomaco e non so perché>

<Eppure mi sento profondamente solo/a, oppure sbagliato/a>

… e potrei proseguire con tantissimi altri esempi, che si concludono con la solita domanda:

<Ma è normale, dottore?>

Eccola lì, la presenza della paura che “non sia normale” ciò che sta accadendo, una paura così forte da precedere una domanda più logica o scontata, come <Mi passerà? Cosa posso fare per migliorare?>… e invece molto spesso la prima domanda è: <Ma è normale?>

Tale domanda fa emergere immediatamente la sensazione che la persona che la pronuncia abbia un indice puntato contro, che reca una accusa di qualche genere, di fronte alla quale una dichiarazione di normalità equivarrebbe a una dichiarazione di innocenza.

Come se di fronte a quel dito puntato si potesse replicare: <E’ vero, sta accadendo così, ma non è colpa mia, è normale!>

E infatti, quando di solito replico che per l’Istanza Emotiva è sicuramente normale, che dentro quella Istanza si può trovare il senso a ciò che accade, solitamente il/la paziente prima si stupisce, poi si rasserena.

E, assolutamente, la mia risposta NON è di circostanza: come già ho avuto modo di scrivere, se la Istanza Emotiva si coinvolge in una data situazione o sentimento, le azioni che indurrà a fare seguiranno il senso di quel coinvolgimento, e non di qualsivoglia ragionamento, per quanto “logico”.

Estrapolando da una mia esperienza clinica, posso dire di avere incontrato una persona che non si sapeva spiegare perché non riuscisse a trovare senso alla sua vita e nel contempo le venissero pensieri inusitati, intrisi di fantasticata violenza.

Ovviamente, la sua prima paura era di non essere normale: che in senso puramente statistico è vero, ma se analizziamo la storia col metro della sua Istanza Emotiva ciò diventa falsissimo.

Si trattava infatti di una persona che aveva dedicato il suo percorso di studi a dimostrare ai suoi genitori di essere migliore di come la credevano.

Per fare ciò  scelse una facoltà universitaria (ed eventuale sviluppo lavorativo postumo) su qualcosa che NON la interessava affatto, ma che, nella sua fantasia, avrebbe dimostrato che era migliore delle attese.

Si era insomma posta da sola dentro un conflitto tra due codici etici: uno, quello di dimostrare di essere all’altezza dei genitori, l’altro, quello di inseguire i propri sogni e inclinazioni.

Una tattica lose-lose: qualunque cosa prevalesse ne avrebbe sofferto, e quando la conobbi era paralizzata nella sua evoluzione, incapace di scegliere cosa fare oltreché tormentata dai “pensieracci”.

Ecco, vista alla luce della sua situazione all’interno dell’Istanza Emotiva, la caterva di sintomi che le stava piovendo addosso era assolutamente normale!

Ci mancava ancora che, date quelle premesse, ella potesse sentirsi bene.

L’Istanza Emotiva non può parlarci a parole, quindi ci manda sintomi: e questi non sono certamente “normali” da un punto di vista statistico, ma noi sotto sotto sappiamo che c’è qualcosa che non va, della quale ci sentiamo colpevoli.

Nell’ esempio sopra descritto, la persona implicata trasgrediva al suo proprio codice etico di “dover dimostrare” e al contempo trasgrediva alla sua esigenza istintuale di inseguire i propri sogni e inclinazioni: era doppiamente trasgressiva, e quindi si sentiva doppiamente colpevole!

Era ovvio, dunque, che non si sentisse “normale” e cercasse conforto nel fatto che qualcuno le rimandasse un senso della sua sofferenza.

Ecco dunque un primo trucco, quello di cercare il codice etico, cioè dovremmo chiederci a cosa stiamo trasgredendo (che ci induce i nostri sintomi)?

Inutile dire che non parlo di codici condivisi, quelli sociali per intenderci.

Quello sopra indicato era proprio ed esclusivo della persona citata: altri, per esempio, hanno il codice inconscio di “non tradire la mamma (o il papà)”, motivo per il quale restano eternamente single o addirittura non riescono ad avere rapporti sessuali.

È normale? No, in senso statistico, ma rispetto al codice inconscio, sì, è normalissimo.

In conclusione, non possiamo mai distogliere il concetto di normalità da quello di colpa, beninteso laddove la colpa consiste nell’avere trasgredito a un nostro, esclusivo, personale codice etico.

Ecco che spunta il sintomo e la conseguente domanda:

<Dottore, ma sono normale?>