13 Nov

TEATRO E SVILUPPO EMOTIVO

Uno strumento di lavoro psicologico sulle tavole del palcoscenico

 

Anche se ho iniziato tardi, il teatro è diventata una passione fulminante, anche perché ho da subito intravisto le grandi potenzialità che porta con sé per lo sviluppo emotivo della persona.

Stare sul palcoscenico di per sé mette in gioco diversi meccanismi dell’immagine di sé e di come si percepisce che la propria immagine vada trasferita agli altri. Parliamo, in sostanza, di quel divario che spesso esiste tra come ci siamo sempre percepiti, di come vorremmo che gli altri ci percepissero e dell’impressione che abbiamo della “figura” che stiamo facendo.

  • Mi vergogno. – dicono molte persone quando iniziano a lavorare in teatro, anche solo a livello amatoriale.

Non lo sanno ancora, ma già stanno agendo sulla propria psiche, a un livello profondo ed inconsapevole, che li porterà ad uno sviluppo emotivo, quale che sia (dipenderà dall’utilizzo e dalla passione che ci metteranno, ma uno sviluppo è garantito dal solo fatto di affrontare il lavoro teatrale).

 

Come?

Intanto, la sensazione di vergogna spesso parte dalla convinzione, condivisa in altri ambiti, di “non sapere come si fanno le cose”: nella fattispecie si pensa di non essere ancora bravi, o di non riuscire a diventarlo, e si ha paura del giudizio del pubblico.

È la prima impressione errata: l’attore non “recita”, l’attore “è”.

Sul palcoscenico interpreta un personaggio, o più personaggi, e se non “è” quei personaggi, noi da pubblico ci annoiamo. Oppure, semplicemente non riusciamo a coinvolgerci. Quindi che si chiede davvero all’ attore? Di “essere” i personaggi che interpreta, di ipnotizzarci nella storia del personaggio, in modo che noi, pubblico, possiamo immergerci, perfettamente coinvolti, nell’ emotività della situazione che ci propone.

Ci deve emozionare!

E per emozionare deve essere se stesso? In un certo senso.

Ora svelo il “trucco”: ognuno di noi possiede, in potenza, dei “serbatoi emozionali”, dove c’è tutto! Tutti noi possiamo essere da Madre Teresa a Charlie Manson, da Nelson Mandela a Josef Goebbels, possiamo essere cinici, romantici, dolci, appassionati, crudeli, spietati, arrabbiati, rassegnati, offesi, violenti, pacati: tutti noi, in potenza, possiamo essere tutto! Immaginiamo che ogni sfaccettatura della nostra emotività sia inscatolata dentro quei serbatoi che citavo prima: essi stanno lì, tutti, ma noi siamo abituati, nella nostra vita quotidiana, ad utilizzarne solo alcuni, al punto che riteniamo addirittura che molti “serbatoi” non esistano neppure.

Quello che è richiesto agli attori, invece, è di andare ad attingere dentro quei serbatoi l’emotività che è richiesta al loro personaggio: solo così possono “essere” il personaggio, e attraverso di esso coinvolgerci, emozionarci. Se non pesca dai serbatoi giusti, non ci emoziona, e fallisce il suo compito. Quando pesca bene, però, l’attore “diventa” qual personaggio, e in quel momento lo è! Ecco perché sostengo che alla fine fare teatro significhi essere se stessi, anzi, ampliare ciò che siamo già e non sappiamo di poter essere!

Cosa c’entra tutto ciò con lo sviluppo emotivo di una persona? Mi pare evidente che abbiamo di fronte uno strumento di lavoro psicologico preziosissimo: possiamo andare a scavare nella nostra “cantina”, dove sono riposti tutti i “serbatoi emozionali” e renderci conto che tutto quello che crediamo di essere è una nostra abitudine!

Scopriamo che, lungi dall’essere dei limiti, le emozioni sono delle potenzialità: che ci possono aprire porte non solo verso noi stessi ma anche verso il mondo esterno, ampliando le nostre capacità di coinvolgimento, che sono la base del successo in ogni campo.

Nessuno riesce ad avere un vero successo senza essere capace di coinvolgere: e sono le nostre emozioni, il saperle gestire che ci offre questo potere!

Senza contare che l’attore viene allenato anche dal punto di vista cognitivo: mentre “è” qualcun altro, immerso in una situazione che sta creando sul palco, una parte del suo cervello è assolutamente vigile su tutto quanto succede sul piano pratico: se un collega sbaglia una battuta, se succede qualcosa di inaspettato, ecco che è sempre pronto a reagire in modo che tutto sia compatibile con la storia e il pubblico non si accorga di nulla.

Tutto ciò, l’ho elaborato e strutturato all’ interno del format che ho chiamato Laboratorio Emozionale: un percorso di gruppo dove si va alla ricerca degli schemi che ci hanno vincolati e, poco a poco, si aprono quelle gabbie strette che ci siamo costruiti, per andare a pescare dentro i “serbatoi” nascosti, che a volte ci fanno molta paura.

In pratica, io utilizzo la mia esperienza di attore, regista ed autore teatrale e ne applico le tecniche in funzione di avere un risultato psicologico, anziché artistico. È un percorso di crescita molto intenso e molto divertente, dove non sappiamo all’inizio cosa succederà nel divenire: sappiamo solo che cresceremo, che diventeremo qualcosa in più e sapremo gestire meglio tutto quello che siamo.

Questo percorso vale per chi fa teatro come per chi non ha mai voluto neanche viverlo da spettatore, non importa: il beneficio di questo percorso vale per chiunque voglia potenziare le sue capacità di coinvolgere e di coinvolgersi.

E, come detto in precedenza, ciò vale in ogni campo dell’esistenza: lavoro, studio, sport, affetti, rapporti di coppia.

Io la vedo come una caccia al tesoro, dove il tesoro è già dentro di noi.

A presto.

 

Tiziano