25 Ott

TEORIA DEL “DEVO” E TEORIA DEL “POSSO”

Come predisporsi al peggio  credendo di fare la cosa più saggia possibile

Mi capita spesso di incontrare sportivi, ma anche persone che svolgono tutt’altra attività, che si esprimono come se fossero prigionieri di una qualche costrizione, infatti usano spesso la parola DEVO.

<Se voglio arrivare a quel risultato, devo riuscire a fare questo, non ho altre possibilità.>

<Non è possibile continuare così, devo ottenere quel successo>.

Di solito tali affermazioni nascondono una grande frustrazione e una scarsa stima di sé, sia pure mascherata: mettere in evidenza, e sottolineare con forza che <devi>, implica automaticamente il fatto che sei tutt’altro che convinto di riuscirci.

Non a caso, spesso tali affermazioni sono ribadite dopo una serie di tentativi non riusciti.

Ecco che viene svelato il pensiero sottostante: visto che non ci sono riuscito prima, mi spingo nella condizione di <dovercela fare> in modo da essere costantemente sotto pressione, e sono convinto che questo sia il modo migliore per riuscirci.

Devo, maledizione, devo!

Può darsi che ciò ci faccia sentire più a posto con la propria coscienza, che ci si percepisca come dei bravi soldatini, pronti a tutto pur di espugnare la roccaforte nemica.

Ed è un po’ come mi immagino queste persone mentre parlano: dei folli assalitori che escono dalle trincee esponendosi alle mitragliatrici nemiche!

O, per usare un’altra metafora: pensiamo davvero che qualcuno possa risolvere più in fretta un problema, che so, di aritmetica, puntandogli una pistola alla tempia e mettendogli una sveglia che faccia sentire il suo rumoroso tic-tac?

A guardarla così, da fuori, anche l’osservatore più ingenuo conviene con me che è impossibile che in tali condizioni la prestazione migliori, bene che vada peggiorerà. Guarda caso, proprio quello che succede a queste persone (molti di loro sono sportivi) che si lamentano dei loro insuccessi proseguendo la loro litania: – E però… devo, devo riuscirci! –

Ecco, proprio pensando a loro ho coniato queste due filosofie di atteggiamento: la <Teoria del Devo> e la <Teoria del Posso>.

Ripeto, più spesso utilizzo questa espressione in Psicologia dello Sport, perché è più frequente sentir dire da un atleta, anche esplicitamente, la frase “devo” vincere, devo migliore, devo farcela, devo superare questo limite, devo, devo, devo. Non è però qualcosa che funziona solo nello sport: lo sport mi aiuta a spiegare meglio questo meccanismo, anche ai non sportivi.

Per esempio, mi è più semplice spiegare che la teoria del Devo prevede una sola possibilità, mentre in Natura ne esistono almeno due.

Per sua stessa natura, infatti,  la competizione prevede che ci siano almeno le seguenti due opzioni: qualcuno che vince e qualcuno che perde. Dirsi “devo” vincere, invece, esclude la possibilità di perdere, ed è una esclusione assolutamente arbitraria, in quanto possiamo continuare a ripeterci che PER NOI esiste una sola possibilità (devo vincere, devo vincere, devo vincere), ma la realtà resta immutata, e ne prevede almeno due.

Se io mi permetto solo il successo, qualora non lo ottenessi… sarebbe un disastro, una schifezza, un fallimento (Teoria del Devo), e quindi, di fatto, non godo mai: infatti, se putacaso arrivassi anche alla meta prefissata, avrei “fatto solo il mio dovere”, e quindi non ci sarebbe nulla di cui essere particolarmente contenti, al massimo ci si sentirebbe sollevati. Se invece NON lo si ottiene… come sopra, fallimento, schifezza, e chi più ne ha più ne metta. In ogni caso, per parafrasare un famoso artista, <anche per oggi non si gode>.

(Se vi va di conoscere bene di chi sto parlando, eccovi un link qui sotto)

Ma, mettiamo caso che per una volta partissimo da un presupposto di realtà: se affronto una competizione e mi metto in gioco, ho almeno queste due possibilità: o vinco, o perdo. Cioè, posso vincere e posso perdere.

Ecco a voi la <Teoria del Posso>: mi do la possibilità di vincere, ma anche quella di perdere. Esistono entrambe in Natura, e non mi sento sminuito dalla possibilità della sconfitta, perché la prevedo come possibile, nel momento stesso in cui mi metto in gioco. Del resto, essa esiste. In questa <Teoria> ci si trova a godere sempre: se vinco, perché non era affatto scontato che dovessi vincere (potevo anche perdere) ne sono soddisfatto, se perdo invece imparo dalla sconfitta. E già, essendo compresa dalle possibilità che mi sono dato (posso vincere e posso perdere) non solo non ne resto annichilito (avevo accettato che potesse succedere), ma ho anche la possibilità di cogliere l’insegnamento che essa porta sempre con sé, e che solo coloro che si tormentano e si affliggono perché devono, devono, devono, non riescono a decifrare.

Tutto ciò, come anticipato, è applicabile a qualunque tipo di prestazione: mettiamoci nell’aspettativa del <Devo> e non godremo mai, laddove nel <Posso> godiamo sempre. Ed è chi gode, cioè chi si sente bene con se stesso, che amplifica le reali possibilità di successo.

Questo è uno dei capisaldi del mio lavoro come Psicologo dello Sport, ma anche come Psicoterapeuta, quando mi imbatto (e succede spesso) in questi incastri motivazionali che, di fatto, bloccano il perseguimento stesso delle motivazioni.

Nei prossimi articoli tratterò le varie tipologie di intervento e anche una nuova proposta che sto allestendo con il mio collega Davide Perrone. Qualcosa di veramente pratico ed efficace.

Rimanete sintonizzati, si potrà sempre di più di quanto non si dovrà. 😉

A presto.

Tiziano