10 Set

CORPO, EMOZIONI ED EFFICIENZA

INTERVISTA A MANUELA CAPUTI

In previsione dell’allestimento di un nuovo metodo di intervento psicologico (che riguarda appunto la sinergia tra corpo, emozioni ed efficienza) nell’ambito dello sport, è molto utile per me (nonché molto piacevole), intervistare personaggi che hanno a che fare quotidianamente o quasi con le problematiche “bersaglio” dei miei studi. In una atmosfera magica, all’interno del centro storico di Bettona (Pg) ho avuto modo di incontrare Manuela Caputi, una delle relatrici di uno stage relativo alla Preparazione Mentale nello sport: il suo focus era la Bioenergetica ed il Focusing, ma, come vedremo, ella è molto di più.

Manuela, a me interessa molto intervistarti in quanto esperta Team Laeder e counselor ad indirizzo Bioenergetico, due temi che hanno molto a che vedere con il nuovo strumento che sto allestendo. Vuoi però presentarti tu, per dare a chi ci legge una idea precisa di chi sei e cosa fai?

Sono dirigente in uno dei più grandi gruppi Media del nostro paese, responsabile della loro area commerciale internazionale quindi abituata a lavorare sotto stress, con obiettivi normalmente ambiziosi e scarsità di risorse. In queste condizioni, la motivazione del mio team è essenziale così come mantenere all’interno dell’azienda e fuori,  con i clienti, una comunicazione efficace. Inoltre, sono una sportiva, per passione gareggio nella disciplina equestre del dressage, dove allo stress dell’esperienza di gara si aggiunge la necessità di sviluppare una comunicazione non-verbale ed empatica con il cavallo. Sollecitata da queste esigenze pratiche, ho investito molto nella mia crescita personale e nell’approfondimento di questi temi attraverso il counseling ad indirizzo Bioenergetico ed il Focusing.

 

Un concetto che mi ha colpito è quello della intelligenza emozionale. La puoi esporre brevemente?

La “IE” è, in sintesi, la capacità di identificare e gestire le emozioni proprie e altrui.

 

Cosa pensi delle credenze che fanno dire “sono fatto così”?

Credo che siano la voce del cosiddetto “Falso Sè”, la nostra parte Egoica che mira a mantenere lo status quo, organizzato come direbbe Lowen (padre della Bioenergetica) nella “corazza” sia fisica (tensioni muscolari e postura) sia mentale (credenze) che il bambino ha imparato a costruire per difendersi e camminare nella vita, ma che non è detto sia funzionale per il suo sviluppo.

 

Ci si identifica dunque nella propria emozione: non siamo noi a provarla, ma è lei che ci possiede? Quando non si riesce a gestire l’emozione in effetti ne veniamo stravolti, lo “straripamento emozionale” è un termine che rende bene questo concetto. Ne veniamo letteralmente sopraffatti, come quando si rompe una diga e la forza impetuosa dell’acqua diventa ingestibile.

 

Dal punto di vista cognitivo, come ci si dovrebbe porre, secondo te, di fronte a una crisi di tipo emotivo?

Dal punto di vista cognitivo, si può sviluppare una Intelligenza Emotiva, ossia sviluppare in primis una maggiore autoconsapevolezza. Questa serve ad esempio a farci capire cosa ci fa perdere le staffe e così ad essere maggiormente preparati davanti a tali situazioni. Sviluppare IE significa anche imparare a dare nomi specifici alle proprie emozioni ampliando letteralmente il proprio vocabolario emotivo, per cui si passa dallo stato in cui la persona si sente semplicemente “male” allo stato in cui la persona è in grado di riconoscere che si sente frustrata o ansiosa, etc. Il passo successivo sarà la disidentificazione dallo stato emozionale.

 

E dal punto di vista operativo?

Dal punto di vista operativo, è molto semplice e molto complesso al tempo stesso: si torna al corpo! Si tratta di imparare un modo forse per molti nuovo di “ascoltare” il proprio corpo, mettendo l’attenzione sulle percezioni fisiche e sulle variazioni energetiche che il corpo rimanda. Per questo tipo di lavoro ho trovato nel Focusing uno strumento assolutamente unico ed eccellente.

 

Come si possono prevenire tali crisi? Come ti approcci tu a questo problema?

Ti ringrazio per il tuo modo di porre questa domanda, rimandando alla mia esperienza personale. In effetti, quando si tratta di dire cosa funziona o indicare cosa si può fare, a me piace parlare in prima persona, prima di tutto perché non essendo una psicologa né una psicoterapeuta ritengo di poter dare un contributo più autentico se parlo di me e della mia esperienza.

Fatta questa premessa, lo strumento che è stato in particolare utile per me è stato il “grounding”. Sia la Bioenergetica che il Focusing insistono molto sullo sviluppo di questa “modalità di stare nella vita” e quello che nella mia esperienza ho rilevato è che una volta compresa l’intenzione ed il concetto chiave di quello che vogliamo perseguire, possiamo adottare, usare, applicare infiniti strumenti differenti di diverse discipline per ottenere lo stesso risultato. Ad esempio io “alleno” il mio grounding montando a cavallo, sentendo letteralmente il mio peso nella sella ed i miei piedi nelle staffe; oppure in ufficio, sempre prima di una riunione o prima di una conversazione che si prospetta sfidante, io mi prendo qualche minuto per sentire gli ischi ben stabili sulla sedia, la mia schiena appoggiata sullo schienale ed il peso delle mie braccia sulla scrivania. Se sono in piedi, fletto lentamente le ginocchia e cammino lentamente con la sensazione che i miei piedi lascino orme sul terreno come fosse sabbia ad esempio. Un po’ come il rituale della vestizione del torero! Prendersi tempo consapevole per sentire il proprio corpo e ricordarci che “Io sono con me”  nella sfida che vado ad affrontare ci fa sentire “non soli” e questo è per me un punto essenziale soprattutto negli sport non di squadra.

 

Come si manifesta la problematica emotiva a livello corporeo, e perché è importante intervenire  a quel livello, per un’atleta?

Il corpo immediatamente evidenzia e “incarna” il cambiamento energetico e quindi l’emozione che lo attraversa, prima ancora dell’intervento della parte razionale. E pertanto è sul corpo che bisogna intervenire, questo vale in generale per tutte le persone, anche per gli atleti. Detto questo, essendo il corpo per l’atleta il suo strumento di lavoro, dovrebbe essere più congeniale per l’atleta utilizzare questo strumento piuttosto che altri.

 

Mi interessa molto il concetto che hai introdotto del cortocircuito emotivo”. Come lo descriveresti?

Non sono un’ esperta di neuroscienze, ma di nuovo facendo affidamento sull’esperienza e sulla mia incessante voglia di capire cosa e come accadono le cose, ritengo che nel momento in cui uno stimolo esterno, una determinata esperienza sia percepita come “pericolosa” nel senso di troppo difficile da gestire, questa informazione / sensazione attiva immediatamente forti emozioni . McLean nella sua teoria dei 3 cervelli rivela che esiste una vera e propria scorciatoia per cui queste informazioni bypassano il lungo circuito che coinvolge prima la neocorteccia e prendono appunto la via del “corto-circuito” arrivando direttamente ad attivare l’amidgala nell’area limbica. In questo caso avviene appunto quello che a me risuona chiamare come “straripamento emozionale”, una situazione energetica difficile da gestire e da recuperare in breve tempo.

 

Quali sono (mediamente) le sensazioni FISICHE che gli atleti riportano, mentre vivono tali esperienze di “cortocircuito”? I sintomi fisici sono comuni e noti: aumento della pressione corporea, accelerazione dei battiti cardiaci, della sudorazione, aumento della tensione muscolare, difficoltà di mantenere una respirazione rilassata e diaframmatica, spesso la respirazione si fa rapida e alta, solo polmonare. Il tutto porta ad una sensazione generale di immobilità.

 

L’accadere di tali “cortocircuiti in che modo influenza la percezione cognitiva di se stessi?

A conferma del fatto che la mente ed il corpo costituiscono una unità funzionale, la maggior parte degli atleti, nelle condizioni fisiche su descritte, riporta una improvvisa incapacità di “pensare” e di capire cosa devono fare. Pertanto la capacità di pensare strategicamente viene intaccata così come la capacità di individuare e recuperare risorse disponibili per far fronte alla situazione.

Ora ti farò delle domande “strumentali”, nel senso che vanno in direzione delle problematiche sulle quali  il mio nuovo strumento di lavoro vuole incidere. I “cortocircuiti emotivi creano una tendenza all’evitamento di situazioni simili a quelle che lo hanno prodotto?

Ritengo che in personalità non affette da psicopatologie che implicano una disconnessione dal Sè, e pertanto dal sentire, la tendenza a ricordare esperienze negative ed evitarle sia comune. Ritengo anche che individui che siano accompagnati in un percorso di crescita e sviluppo personale, possano prevedere di approssimarsi a questo tipo di esperienze proprio con una finalità di ampliare le proprie capacità di “fronteggiarle”, ma questo è sicuramente un percorso che per essere utile e valido deve essere svolto nella consapevolezza. Altrimenti, la tendenza di un individuo è quella di istintivamente evitarle.

 

Sempre relativamente a tali situazioni, come si modifica il grado di arousal di chi lo sperimenta?

Come sappiamo il grado di arousal è misurato da un grafico (una curva), dove sono in relazione la performance con il livello di stress ossia esiste una relazione tra percezione della difficoltà della situazione da affrontare (challenging) con la percezione della capacità personale di saper e poter affrontare tale situazione. Nel caso di corto-circuito emotivo, siamo in presenza di una situazione che l’individuo non si sente in grado di affrontare con successo, pertanto lo stato di eccitazione diventa disfunzionale.

 

Qual è il grado di lucidità e capacità di focusing percepito dagli atleti che subiscono tali problematiche?

Scarso. Quello che molti atleti sentono è proprio questa perdita di lucidità nel saper scegliere la strategia migliore in quel momento.

Ora ti chiedo se i blocchi energetici possono secondo te essere influenzati dalla percezione più o meno alta di disagio associata alla situazione contingente.

Tornando sempre all’unità funzionale mente – corpo, ogni blocco fisico è il riflesso di un blocco mentale. Pertanto la percezione di “non farcela” mentalmente si trasforma in un aumento della tensione muscolare che porta a bloccare il fluire dell’energia.

 

Anche parlando di prestazioni individuali, come agisci tu per rinforzare le competenze emotive ed energetiche dei componenti del tuo gruppo di lavoro?

Molto con la responsabilizzazione individuale, molto con il feedback immediato e costruttivo. Lavorando a stretto contatto, i risultati sono spesso immediati ed evidenti, quindi si può intervenire abbastanza rapidamente quantomeno nel far notare gli effetti di una comunicazione disfunzionale.

 

Esiste infine una sorta di contagio emotivo  tra individui diversi che fanno parte di uno stesso team o che in qualche misura lavorano allo stesso obiettivo?

Si, lavorando e gestendo quotidianamente un team, sono certa nel dire che esiste assolutamente un contagio emotivo: le emozioni sono contagiose. Per questo motivo io insisto moltissimo nella responsabilizzazione personale di ogni individuo del mio team nel creare e mantenere uno “spazio incontaminato” di lavoro in armonia. Questo non significa che esistano emozioni “brutte” che non devono essere manifestate, ma che deve esserci congruenza e trasparenza. Le emozioni diventano disfunzionali solo quando vengono represse e si usa una maschera nel comunicare con gli altri.

 

Potresti ritenere interessante uno strumento che prevenga quelli che abbiamo descritto “cortocircuiti emozionali”,  (con particolare riferimento alle tre situazioni tipo che ti ho citato) utilizzando come canale principale il corpo?

Assolutamente si. Penso questa sia la nuova sfida, includere il corpo e le emozioni, soprattutto quando si tratta di prevenire “cortocircuiti emozionali”. Per questo motivo, personalmente ritengo che la terminologia “allenamento mentale” sia fuorviante o quantomeno non esaustiva, considerando il peso del corpo e delle emozioni sulla mente.