19 Nov

LA SINDROME RIPETITIVA – Cosa si nasconde dietro il riproporsi di risultati sgradevoli.

Sapete già, se mi seguite, che mi ha sempre appassionato un fatto ricorrente nella mia pratica professionale, al punto da coniare per esso una definizione clinica: la Sindrome Ripetitiva (si può avere un piccolo estratto video in questa intervista)

Anche molto prima di pensare di diventare uno psicologo, il fenomeno riguardante  il ripetersi UGUALE delle stesse problematiche (nonostante tutti i tentativi adottati dalla persona che ne soffriva di cambiarne l’esito) mi aveva sempre affascinato, perché non sembrava esserci una corrispondenza tra ciò che si pensava del problema ed i risultati di questi pensieri.

Mi spiego meglio: se non riesco a colpire un bersaglio al tiro al piattello e attribuisco le responsabilità al fucile o alle cartucce, anche se cambio fucile e cartucce in continuazione, “stranamente” continuerò a colpire pochissimi piattelli.

Ora, questo esempio è intuitivo, ma è analogo a molti altri fenomeni, certamente più complessi, nei quali però, “attribuire al fucile o alle cartucce” la responsabilità del problema, e quindi anche il campo d’azione per risolverlo, diventava un dogma.

Cioè, la soluzione al problema veniva pronunciata con la solennità di chi dice: <Si DEVE fare così!>.

Di proposito ho citato un esempio banale, così la comprensione è meno difficoltosa: se applichiamo il <Si DEVE fare così> al cambiare fucile o cartucce, ecco che il povero tiratore al piattello si troverà spiazzato: si troverà cioè nella sgradevole sensazione di chi fa le cose giuste ma ottiene i risultati sbagliati.

Molte volte, e anche in prima persona, mi sono trovato di fronte a questa spiacevole sensazione, e, anticipando la mia simpatia verso il pensiero scientifico di Richard Feynman (di cui vi consiglio la visione di questo video ),

mi trovai a trarre le sue stesse conclusioni: se non funziona nella pratica, la teoria è sbagliata!

Già, ma dove andare a cercare la teoria giusta, e quindi le soluzioni al problema?

Ora vediamo.

La Sindrome Ripetitiva possiede, in definitiva,  le seguenti caratteristiche:

  • Si tratta di evento/risultato spiacevole
  • La persona che lo vive/realizza NON lo desidera
  • La persona in questione SA quali sono i percorsi da seguire per risolvere il problema
  • La persona in questione segue suddetti percorsi
  • Il problema si ripete lo stesso.

Di fronte a simili accadimenti potrete trovare pletore di fantasiose spiegazioni, tutte diverse e, mano a mano che il tempo passa e che il numero di ripetizioni del problema aumenta, sempre più inverosimili.

Anche a me sono capitate situazioni simili (ne parlo in maniera più approfondita nel mio libro <Sulla ruota del criceto>), e dopo avere adottato diverse strategie, tutte molto “sensate” per evitare il ripetersi di tali problemi, mi trovavo “inspiegabilmente” al punto di partenza.

Iniziai, per non dare di matto,  a prendere l’abitudine di ragionare come Feynman: se la Natura, ovvero il risultato finale, è quello e non cambia, vuol dire che tutto quello che io penso su come farlo cambiare è sbagliato.

Avevo già sperimentato però tutte le soluzioni che conoscevo: quindi ci doveva essere un presupposto ancora più a monte che davo per scontato e che , come esclama Feynman nel video in maniera enfatica, era WRONG!

E l’unica cosa che avevano in comune tutte le soluzioni era una sola, io: alla fine ero io che non volevo risolvere il problema?

Pareva che la questione fosse proprio quella! Brrr!

Ovviamente, da un punto di vista razionale tutto ciò mi appariva assurdo: cominciai però a pensare che ci fosse una parte oscura alla nostra coscienza la quale coltivava dei desideri in contrasto con quelli che pensavo razionalmente.

Mi stavo avvicinando alla consapevolezza dell’esistenza dell’Inconscio e del fatto che seguisse delle regole e un linguaggio a me allora sconosciuto.

Oggi posso dire che il ripetersi di un risultato finale di qualunque azione può di per sé indicare la volontà inconscia del soggetto di ottenere quel particolare risultato.

L’atleta che si infortuna sempre prima di una gara importante, giusto per fare un esempio, in ultima analisi VUOLE EVITARE la gara:  in qualche parte di sé si nasconde il rifiuto della competizione, e i motivi possono essere i più disparati, solo che lui non li conosce.

E infatti cambia metodo di preparazione, cura, potenziamento atletico, dieta: se il problema però è che inconsciamente NON vuole partecipare alla gara (anche se razionalmente lo desidera) ciò renderà vani tutti gli sforzi, perché saranno simili al <cambiare fucile e cartucce> per il tiratore che non sa sparare.

Qual è il campo di azione dentro il quale si sviluppa tale (apparentemente) assurda decisione?

Finora lo abbiamo chiamato Inconscio, ma più propriamente la definirei Componente Emotiva, la parte di noi che segue le regole delle emozioni, e dove si sviluppano i processi decisionali.

Il fatto è che noi siamo abituati a identificarci nella nostra Componente Razionale, ma prendiamo decisioni sulla spinta della Componente Emotiva (nel mio e-book regalo di ingresso alla Newsletter <Scendere dal Castello>, ho affettuosamente chiamato le due componenti Raz ed Emo).

Quando entrambe le Componenti vogliono la stessa cosa va tutto bene, e a noi pare di essere integri, di essere <uno>, senza conflitti interiori.

Se però i desideri delle due Componenti non collimano, a vincere sarà sempre quella Emotiva, che non possiamo controllare, non fosse altro perché non ne conosciamo il funzionamento (laddove della Componente Razionale conosciamo tutto, al punto da confonderla con tutto noi stessi).

E qui nascono i problemi: tutte le soluzioni che noi pensiamo di adottare, le pensiamo con un afflato Razionale, senza renderci conto che la sorgente del risultato non voluto è Emotiva.

Ne consegue la innumerevole serie di tentativi fallimentari e il prendere luogo della Sindrome Ripetitiva.

Con tentativi di spiegazioni che, se esasperati, potrebbero produrre pensieri deliranti come quelli che seguono:

<Sono sfortunato, sono maledetto, Dio ce l’ha con me, devo pulire il karma, sono nato sotto una congiunzione astrale sfavorevole, qualcuno mi ha fatto il malocchio >, eccetera.

Non vi preoccupate: nessuno ci fa il malocchio e, per quanto se ne sa, non è dimostrata l’esistenza di esseri extra-terreni che non hanno niente di meglio da fare che metterci i bastoni tra le ruote!

D’altro canto, è maledettamente difficile credere che siamo noi stessi, sia pure soltanto una parte di noi, a desiderare il nostro fallimento.

È dura da accettare, ne convengo, ci sono passato: e infatti, il primo passo per uscire dalla Sindrome Ripetitiva è l’ACCETTAZIONE.

Accettiamo che c’è una parte di noi che vuole il risultato che razionalmente NON vogliamo e chiediamoci quali bisogni questa parte vuole sentire soddisfatti attraverso tali fallimenti.

La seconda parte dell’uscita dalla Sindrome Ripetitiva l’ho battezzata CONSAPEVOLEZZA: bisogna infatti essere consapevoli che la Componente Emotiva non utilizza i parametri di ragionamento cui siamo abituati, bensì ne usa uno solo, semplicissimo a dirsi, difficilissimo da interiorizzare.

La Componente Emotiva si coinvolge oppure non si coinvolge: e non possiamo stabilire a priori, secondo i nostri parametri logici, su cosa si coinvolge o non si coinvolge.

Lo possiamo desumere, a partire dai risultati, che sono, in ultima analisi, una espressione di ciò che desidera, cioè lo coinvolge.

Avendo questa consapevolezza possiamo tornare all’esempio dell’atleta che si infortuna sempre prima della gara: il risultato (l’infortunio) ci dice che dentro di sé vuole evitare la competizione.

Indagando, potremo scoprire che la sua Componente Emotiva si coinvolge, ad esempio, nella commiserazione (ottengo più attenzioni “sicure” da infortunato piuttosto che incerte soddisfazioni dalla gara), oppure nella sottomissione (competere equivale a volersi imporre e io sto meglio sotto un’ala protettrice) oppure in qualcosa d’altro ancora, che non possiamo conoscere prima.

Con l’aiuto di un esperto, seguendo questo procedimento, è possibile però venirne  a capo.

E poi?

Poi abbiamo la terza fase, la CURA OMEOPATICA, ovvero la auto-somministrazione a piccole dosi di ciò che il nostro Inconscio (Componente Emotiva) desidera in maniera consapevole.

Per usare una metafora che spesso utilizzo in seduta, è meglio nutrire noi stessi un animale che ci gira in casa, piuttosto che tenerlo affamato per scelta dogmatica, ed avere, come conseguenza, la bestia che ci rovista l’abitazione venendosi a prendere “il cibo” di prepotenza.

SE diventiamo noi i curatori dell’animale, esso ci riconoscerà come coloro che gli portano il cibo, e potrà smettere di andarselo a prendere; in un secondo momento, guadagnata la sua fiducia, potremo provare a fargli cambiare dieta.

Tutto ciò, ovviamente, non può prescindere dalla collaborazione di uno Psicologo, che possa orientare sia il percorso di ricerca che supportare quello di cambiamento.

Dalla Sindrome Ripetitiva, comunque, SI PUO’ uscire.

Bisogna cambiare atteggiamento, certo: bisogna smettere di considerare l’ostacolo interno come un nemico da combattere, ed iniziare a pensarlo come qualcuno verso il quale si vuole fare pace.

Solo allora, nuovamente allineate, la Componente Emotiva e la Componente Razionale, viaggeranno insieme verso un successo che potrà essere ostacolato solo dall’esterno, e non più dall’interno.

A presto.

Tiziano